Chi ha inventato Babbo Natale la vera storia

Quando Clement Moore, in quella vigilia di Natale dell’anno 1822, componeva la poesiola passata alla storia come Twas the Night before Christmas, non aveva la benché minima intenzione di darla alle stampe.
Né tantomeno aveva intenzione di passare alla Storia come “l’inventore di Babbo Natale”. Proprio lui!, un serioso reverendo professore di Teologia, autore di poderose dissertazioni accademiche!
Naa, non scherziamo: quando Clement Moore, in quella vigilia di Natale, si era messo allo scrittoio con un sorrisetto sulle labbra, aveva la semplicissima intenzione di scrivere una poesia per i suoi figli. Una poesiola natalizia da recitare in casa ai suoi bambini: qualcosina che li facesse ridere sul momento e regalasse loro un bel sorriso. Ma nulla più!

L’idea per lo scherzo poetico gli era venuta quel pomeriggio, mentre stava facendo le ultime commissioni per il Natale spostandosi a bordo di uno slittino trainato dal suo cocchiere, un olandese di nome Jan.
Era un buffo personaggio, questo Jan: un tipo grassottello e rubizzo, molto più basso del normale e con una lunga barba bianca. In quella vigilia di Natale, mentre lo slittino correva sulle strade innevate, l’austero reverendo Moore si era sorpreso ridacchiare tra sé e sé mentre osservava il suo cocchiere che spronava i cavalli.
Aveva sorriso fra sé e sé, pensando al fido Jan e alle strane tradizioni che lui e i suoi compatrioti – gli Olandesi emigrati nel Nuovo Mondo – avevano importato sulle sponde dell’Americano. Con quel barbone lungo, con il viso arrossato dal freddo, con quel fare autoritario e scherzoso al tempo stesso, Jan gli aveva fatto venire in mente la bonaria e ieratica figura di san Nicola, che proprio nel periodo di Natale visitava le famiglie dei bimbetti olandesi.

Occielo: da un po’ di tempo a questa parte, san Nicola sembrava aver allargato il suo raggio di azione. Aveva preso l’abitudine di visitare in modalità random (il 6 dicembre, la notte della Vigilia, la mattina di Natale…) quasi tutte le case dei bambini newyorkesi, olandesi e non, per effetto di una di quelle inevitabili contaminazioni culturali che hanno luogo quando le tradizioni belle si diffondo per contagio. Persino i figli del reverendo Moore, che immigrati olandesi non erano di certo, avevano preso l’abitudine di appendere una calza alla cappa del camino. “Forse San Nicola passerà anche da noi!”, dicevano.
E in effetti, San Nicola non mancava mai al suo appuntamento.
Clement Moore lanciò un’altra occhiata all’uomo canuto che aveva assunto qualche tempo prima come cocchiere e tossicchiò per nascondere il sorriso che gli stava increspando le labbra.

Quella sera, mentre aspettava che la cena fosse portata in tavola, Moore si chinò sul suo scrittoio e buttò giù due righe, da leggere l’indomani ai bambini e agli ospiti. Nacque così Twas the Night before Christmas, che avrebbe reso celebre in eterno il reverendo.
La poesiola fu un gran successo (anche se, stando ai testimoni, il piccolo Clement jr. si addormentò durante la lettura): complimenti, applausi, strette di mano. Per quanto lo riguardava, Moore avrebbe felicemente archiviato questo marginale episodio della sua esistenza.

Il povero reverendo non poteva minimamente immaginare che, di lì a poco, i suoi parenti e i suoi amici avrebbero cominciato a molestarlo con una richiesta martellante: “ma è fantastica, questa poesia, Clement! Falla pubblicare, il Natale prossimo!”.
Ma te sei scemo”, ripeteva Clement con sufficienza: “sono un professorone di Teologia, e secondo te mi metto a pubblicare filastrocche per bambini?”.
Il povero Moore non aveva minimamente previsto un simile successo (financo imbarazzante, per un uomo nella sua posizione!). E soprattutto: il povero  Moore non poteva minimamente immaginare di avere una madre così impicciona da andare a frugare nelle carte di suo figlio, rintracciare la poesiola, mostrarla a un’amica che lavorava nel campo dell’editoria e infine farla pubblicare anonimamente sul numero del 23 dicembre 1823 del Troy Sentinel, il quotidiano di New York.

Solo dopo molti anni, e con grandissima riluttanza, lo stimato professor Moore accettò di riconoscere la paternità dell’opera.
Eppure, non è esagerato dire che questa poesiola abbia fatto la Storia. La si potrebbe definire l’atto di nascita di Babbo Natale: è proprio in questi versi che il buon vecchio Nicola perde improvvisamente i suoi attributi di santo vescovo, avviando la sua metamorfosi in canuto vecchietto di rosso vestito.

Certo: Moore non si è inventato tutto. Nel creare la figura di Babbo Natale / San Nicola, ha preso ispirazione da una serie di scritti e di tradizioni preesistenti: avremo modo di parlarne. Ma senza dubbio, rielaborando queste tradizioni, il buon vecchio Moore ci ha messo del suo.

Innanzi tutto, ha inventato di sana pianta la presenza delle renne: fino a quel momento, san Nicola andava a spasso su un cavallino o un asino; niente slitte volanti e niente renne con poteri paranormali.
In secondo luogo: ha portato in scena san Nicola alla vigilia di Natale, e non più nel giorno della sua festa liturgica, il 6 dicembre. Giustamente, non si poteva immaginare che un pastore protestante invitasse i suoi pupilli a festeggiare la figura di un vescovo cattolico.
E soprattutto, il reverendo Moore ha completamente e clamorosamente de-sacralizzato la figura di Nicola, che fino a quel momento veniva rappresentato rappresentato – beh – come un santo vescovo. Nella poesia di Moore, il vescovo cristiano diventa una specie di folletto rubizzo e grassottello, che ha completamente perso ogni attributo di signorilità, autorevolezza e sacralità. Nella poesia di Moore, il vescovo Nicola si è già trasformato in quel vecchietto rubizzo e gioioso che oggi chiamiamo “Babbo Natale”.

La poesia di Moore ebbe un successo così travolgente. Pubblicata per la prima volta sul Troy Sentinel nel 1823, ebbe una miriade di ristampe, riadattamenti e riedizioni illustrate. Nell’arco di pochi anni, quasi tutti i bambini di New York recitavano sorridenti i versi di Twas the Night before Christmas. A quindici anni dalla pubblicazione, persino Moore dovette capitolare ammettendo, con una certa riluttanza, la paternità di quei versi (e definendoli, in ogni caso,  “una vera e propria sciocchezza”).

Sciocchezza o no, la poesia del reverendo aveva avuto un successo dirompente: aveva conquistato anziani, grandi e piccini. Probabilmente, era piaciuta così tanto proprio perché il personaggio di San Nicola, così come era stato rielaborato dal reverendo, toccava corde care alla sensibilità della popolazione di quei tempi: l’allegria, la giovialità, il benessere economico (reso evidente dal girovita del vecchietto, niente affatto emaciato), la sua volontà di coccolare e viziare i bambini; l’atmosfera fiabesca e leggendaria con cui si ammantava; il suo poter piacere a tutti, indipendentemente dal credo religioso.

Sebbene Moore, da bravo classicista, si fosse sempre riferito al buffo vecchietto con l’appellativo di “St. Nick”, l’editore del Troy Sentinel presentò la poesiola usando un’altra variante del nome di San Nicola che, in quei tempi, era molto diffusa a New York. Lo chiamò: “Santa Claus”.

E in effetti fu proprio in quel momento che “Santa Claus” cominciò a incrociare la sua Storia con la nostra.

“The Night before Christmas, or A Visit of St. Nicholas”, 1896, McLoughlin Bros

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